Estate di tanto tempo fa.
Caldo.
Il grano oppresso dallo
scirocco incandescente.
Le cicale come emorragie
nel mio cranio.
Una cascina dispersa nel
nulla.
Avrei potuto scappare in
ogni momento, ma non l'ho fatto.
A oggi, la scelta migliore
della mia vita.
Nessun giornalista
stempiato a gracchiare notizie.
Nessuna tv del dolore a
leccarmi le ferite.
Nessun carosello gioioso a
smorzare la mia morte morale.
Solo le mosche mi
degnavano di attenzioni disinteressate.
Per tre anni la stessa
frase:
"Tesoro! Sono
tornato..."
Raggelante, sentenziosa
come l'ascia di un boia.
E io scappavo, nel
profondo della mia anima,
ma restavo immobile su
quella branda, fusa con me.
Assente.
Ti piacevano la mia pelle
liscia,
i miei capelli fini e
lunghi,
i lineamenti puliti.
Credo che mentre mi
fissavi, dalla tua posizione dominante,
non sapevi nemmeno se ero
maschio o femmina.
Ero come la creta per un
vasaio,
di peso mi scivolavi
sottopelle,
lacerando e fremendo in un
valzer perverso.
Il mio corpo come
capolavoro Fontaniano,
e il mio intimo devastato
come Guernica.
La cosa che ero, distante
chissà quanto,
a giocare con i soldatini
prussiani,
sognando che venissero a
ficcarti del piombo nel cuore.
La mia vittoria contro i
francesi, schiacciante come sempre,
interrotta da mia madre,
lesta nel ricordarmi di
andare a prendere il pane,
o sistemare la mia stanza.
"Per oggi ti è andata bene
Generale Frossard,
la tua umiliazione è
rimandata a domani."
La mia no, è stata sempre
precisa e puntuale.
Avevo tutto, e mi era
stato rubato tutto, dal mio stesso sangue.
Diventare uomo a 9 anni,
senza aver mai baciato una bambina.
E nonostante ciò, non
fuggivo.
Mille volte ho scalfito
quella parete, quei muri testimoni di tutto.
Se non lo facevano le mie
unghie esasperate,
nel vano tentativo di
sfuggire all'ascia,
lo faceva la mia mano
tremante,
come monito che quello era
il conto di ciò che mi era stato rubato.
Mille giorni più una vita
intera.
Al millesimo ti ho atteso,
tesoro,
e quando sei tornato, mi
sono ritratto,
rannicchiato come un
serpente,
ho atteso che tu fossi su
di me,
bramoso di scaraventarmi
ancora nella fossa.
E ti ho colpito, e ancora,
e ancora,
con un solo dente
luccicante ti ho riempito di veleno.
Rancore, rivalsa,
vendetta. Panacea mortale.
Ho avuto pietà, troppa,
ti ho annientato in poco tempo.
Ho visto zampillare la tua
vita su di me,
il tuo calore disperdersi
e tornare parte dell'universo,
la tua espressione
interrogativa specchiata nella mia risata isterica.
E per la prima volta ho
sentito la viscosità di un orgasmo, mio.
Caldo, reale, vellutato,
violento.
Ti ho lasciato su di me,
grasso porco bastardo,
e ti ho guardato fisso
negli occhi, duro come ossidiana,
aspettando mentre ti
svuotavi dalla linfa,
incapace di muovere
qualsiasi muscolo, atterrito,
e il mio petto cinabro che
ancora sussultava estasiato.
Non dirmi che non ti è
piaciuto il mio omaggio,
un gesto per sdebitarmi di
tutte le attenzioni subite,
il tuo membro potato e
succhiato viscidamente da una bocca diversa, la tua.
Sai come sono, l'ho fatto
col cuore in mano, il tuo.
Papà.
Affidato ad altri fino
alla maggiore età,
non li ho mai amati.
Mamma, non ricordo nemmeno
più il tuo profumo,
e ancora mi vergogno nel
venirti a cercare,
Non sono stato in grado di
impedirlo,
complice del mio
carnefice.
Vivo il disagio della
luce, degli sguardi,
rifuggo dagli adulti,
io, un bambino di
ventun'anni.
Appena ho potuto, ho preso
la mia borsa piena di ricordi
e me ne sono andato per
finire ciò che avevo cominciato.
Tale padre, e tale figlio.
Lo faccio per il piacere
carnale, come lui.
Vengo dentro le loro vite,
per disprezzo, come lui.
Uccido le anime, come lui.
Vivo nel buio del passato,
afferrando gli spiragli di luce del presente.
L'onnipotenza mi è stata
donata per pareggiare il conto salato di tanti miei fratellini
indifesi.
Non hanno altri dèi
all'infuori di me.
Strappo la vita alle
bestie indegne di possederla,
coloro che mettono al
mondo oggetti per il loro piacere,
menti malate che amano
nella maniera sbagliata.
Li cerco di notte, li
sento attraverso i muri, vedo nei loro cuori,
sono marchiati a fuoco,
senza scampo.
Si riconoscono perchè
corrono sempre, cercano di sfuggire ai loro demoni.
Prima o poi saranno miei.
Le mani inguainate, pronte
a fendere,
non lascio tracce, sono
letale.
Li recido e li lascio
svuotare,
si sforzano di gridare con
la gola squarciata, inutilmente.
Ma quei porci moribondi
urlano con lo sguardo:
"Perchè? Chi sei?
Cosa ho fatto?"
Li scruto e tutti hanno
gli occhi di quell'uomo chiamato Padre,
affamati, disperati.
Con l'ultima esalazione
spalancano il cuore,
in ritardo ma hanno
capito.
Amen.
Ogni volta l'orgasmo si
intensifica, sempre più abbondante,
sempre più indifferente.
E' lo spirito santo.
Sono lì, gli tengo la
mano, accompagno i loro volti interrogativi,
perchè è una cosa che va
fatta.
Questi sono i Figli di Dio
con il proprio membro in bocca.
Anche i bambini hanno la
gola tagliata, non parlano,
amano troppo i genitori,
ne sono dipendenti,
l'amore sbagliato non
viene mai alla luce.
Ai funerali noto figli
tristi ma che non piangono,
e mogli disperate che non
si capacitano,
era un padre modello, un
lavoratore onesto, casa e chiesa.
A casa hai scarnificato
l'anima del tuo stesso sangue,
in chiesa tieni ben chiusa
la bara con i tuoi segreti.
Ecco il Padre Modello
figlio di Dio,
ecco spiegate le montagne
di giocattoli fuori stagione,
i gelati in pieno inverno,
Mamma, ecco spiegati i
soldini che trovavi nei miei pantaloni corti.
Ti dissero che ero stato
rapito, scomparso.
Dal suo punto di vista,
non andavo più condiviso con te.
Niente giocattoli per me,
né gelati, nulla di nulla,
solo unghie conficcate
nella schiena, tintinnio di cinture slacciate,
sorrisi terribili e saliva
arroventata. Per mille notti.
Dopo l'estremo saluto e le
lacrime versate,
scrivo alle famiglie, per
sdebitarmi.
Disegno la storia di quel
Padre, di ogni Padre, delle urla strozzate,
dei ricatti privati. Il
patto del silenzio.
Devono stare male, per
aver pianto sulla lapide di un essere indegno,
per averlo amato
preferendo non sapere. Ma è troppo tardi.
Così come io ho pianto in
quel casolare,
dopo ogni umiliazione,
per loro dev'essere la più
tremenda sconfitta, la beffa più bruciante.
Io sono la via, la verità
e la vita.
Non uccido. Purifico.
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